Siamo abituati alle boutade di Beppe Grillo e quelle più funzionali a sé stesso arrivano proprio nella sua seconda e attuale vita da leader politico. Il leader maximo dei Cinquestelle ci ha abituato alle sue stigmatizzazioni nei confronti dell’informazione – a suo avviso sempre inadeguata a descriver questo grande processo di trasformazione sociale che sono il movimento pentastellato.
Non deve essere ritenuta vera la versione per cui questa grande ondata di cambiamento si sta traducendo in normalizzazione.
Non conta non perché non sia vero, bensì perché quello che è semplicemente vero non riesce ad essere detto né scritto.
“Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” così chiudeva il Tractatus di Wittgenstein. Ma Grillo non ritiene come il filosofo viennese che le categorie logiche non siano in grado di cogliere sensatezze nel mondo dell’etica, dell’estetica e di Dio.
O meglio pensa a qualcosa di simile solo che è lui a sostituirsi a queste grandi categorie dell’essere. Grillo e le sue asserzioni non possono essere recepite ed espresse. Lui è l’Elevato. E davanti qualcosa di carismaticamente supremo all’umanità non resta altro che sottoporsi e obbedire, nel tentativo di seguire il verbo.
Ma anche questa richiesta è vana, visto che il suo verbo non potrà mai essere colto nella sua verità. Resta allora un grande dilemma. Di cosa ci sta parlando Grillo? Di quale politica si fanno interpreti i Cinquestelle?
Ed è una trovata interessante che mette al riparo il movimento da qualsiasi critica sul loro operato. Perché quanto accade non è mai o non ancora la trasposizione del pensiero dell’Elevato.
Andiamo avanti così!
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