Vent’anni fa Federico Aldrovandi ucciso da 4 poliziotti senza motivo

Il ricordo della senatrice Ilaria Cucchi: "Simbolo di una battaglia di civiltà"

Gli operatori sanitari del 118 lo trovarono sdraiato in via Ippodromo, a Ferrara.

Immobile, con i polsi ammanettati dietro la schiena, i segni sul volto, due manganelli spezzati a metà accanto al corpo martoriato.

Era l’alba del 25 settembre 2005 e Federico Aldrovandi aveva soltanto 18 anni, frequentava l’Itis elettronica, giocava a calcio, suonava il clarinetto, faceva karate e tifava per la Spal.

Ad ucciderlo furono 4 agenti della Polizia di Stato tutti condannati per omicidio colposo a tre anni e sei mesi, pena ridotta a sei mesi con l’indulto. A distanza di vent’anni il caso Aldrovandi resta impresso nella memoria.

A ricordarlo è la senatrice Ilaria Cucchi con un post sui suoi canali social.

“Oggi, nel 2005, un ragazzo di diciotto anni veniva massacrato all’alba da quattro agenti.

In quel momento, Federico, uno studente dell’Itis a cui piaceva giocare a calcio e suonare il clarinetto, un ragazzo tra tanti, diventava un simbolo, una battaglia di civiltà”.

“Sono passati vent’anni – prosegue -. In tutto questo tempo, Aldro non ci ha mai davvero lasciato perché ce lo siamo portati sempre con noi. In ogni presidio per i diritti, Aldro era lì, presente. Aldro È presente.

Da vent’anni, per i prossimi vent’anni.

Ancora, e ancora.

Aldro vive”.

La sera del 24 settembre 2005 Federico Aldrovandi era andato con gli amici a un concerto reggae a Bologna.

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Al ritorno, verso le 5 del mattino, si era fatto lasciare al parcheggio delle scuole elementari vicino casa.

Tra le 5 e le 5,23 lo studente fece nove telefonate ai suoi amici, ma nessuno rispose.

Alle 5,48 una residente chiamò il 113 segnalando una persona che urlava.

Sul posto arrivarono due volanti, in una c’erano gli agenti Enzo Pontani e Luca Pollastri, nell’altra Monica Segatto e Paolo Forlani.

Alle 6,04 i poliziotti chiamarono un’ambulanza.

Probabilmente era già morto.

Secondo la prima versione ufficiale, il decesso fu conseguenza di un malore causato da alcol e droghe.

Ma una prima perizia accertò 54 lesioni ed ecchimosi.

Le successive perizie stabilirono che la morte era avvenuta per arresto cardiaco dovuto a compressione toracica e ai colpi subiti.

La svolta arrivò grazie al blog di denuncia aperto dalla madre Patrizia Moretti nel 2006.

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E soprattutto grazie alla diffusione da parte della famiglia della foto simbolo di questa vicenda: Federico massacrato, con i segni dei manganelli sul volto e la macchia di sangue sul lenzuolo bianco.

Nelle motivazioni della sentenza, il giudice Francesco Maria Caruso, scrisse:

“La sproporzione tra la presumibile condotta della vittima e quella degli imputati colora in modo negativo il fatto.

Ma anche se il ragazzo fosse stato effettivamente molto agitato, la mancanza di senso della funzione sociale della polizia, l’inaffidabilità degli imputati, la loro oggettiva ‘pericolosità’ per la manifesta inadeguatezza nell’autodisciplinarsi nell’esercizio delle delicatissime funzioni e nell’autocontrollo nell’uso dello straordinario potere di esercizio autorizzato della forza, giocano nel senso di attribuire al fatto un’obbiettiva elevata gravità”.

Corte d’Appello e Cassazione confermarono la condanna per omicidio colposo a tre anni e sei mesi.

Nel luglio 2012 l’allora capo della polizia Antonio Manganelli porse anche le scuse pubbliche.

Ridotta la pena a sei mesi con l’indulto, nel 2014 i quattro agenti rientrarono in servizio, con incarichi amministrativi.

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