Efrem è un personaggio di fantasia, ma il contesto è assolutamente realtà ed è frutto di un viaggio in Palestina che Zizza fece nel 2010 e di tanti libri letti a riguardo. Nella storia, Efrem è il fratello di Disma, il ladrone buono che nella tradizione evangelica viene crocifisso al lato di Gesù Cristo.
Ma perché questo romanzo? Questa storia nella storia raccontata da un uomo che fino ad oggi si è occupato di tutt’altro? Perché scrivere un libro sulla Palestina di oltre duemila anni fa? Massimo Zizza ne parla e così svela se stesso.
“Tentazione, dubbio, scelta, sono sentimenti, emozioni vissute dai protagonisti del romanzo. Due fratelli nascono in Galilea e vivono gran parte della loro vita in Palestina durante la dominazione romana. Si tratta di una storia in parte vera e in parte inventata. Ad esempio Disma uno dei due fratelli è esistito veramente. Si tratta del ladrone che si pente crocefisso insieme a Cristo.
L’altro Efrem è in gran parte di mia creazione come tutti gli altri personaggi. I due fratelli fanno i briganti e condividono il loro destino per un lungo periodo della vita, ma ad un certo punto, inseguiti dai romani si separano decidendo però di incontrarsi a Gerusalemme presso la casa di un conoscente per avviare una attività. Ma non si rivedranno più, perché nel frattempo Disma è stato arrestato e condannato a morte. Le vicissitudini dei due fratelli si legano alla descrizione dei luoghi e alla storia del tempo, ma si legano anche alla vita di una famiglia, ai sentimenti
Quale è la scelta di Efrem?
“E’ quella di abbandonare la vita di scorribande e malefatte dopo averla provata con il fratello.
La tentazione nel libro e nella sua vita
Per quanto riguarda la storia del libro, Efrem viene tentato dal fratello un giorno che torna a casa e…ma non vorrei raccontare tutto.
Per quanto mi riguarda le tentazioni ci sono sempre, ogni giorno. Io sono religioso ma non bigotto, e perciò credo non ci possa essere una regola imposta dall’esterno. Ogni giorno bisogna fare le proprie scelte.
Le tentazioni ci sono e non posso dire di non esserci mai cascato. Essere coerente con se stesso, coi propri valori è sempre una scelta che porta con se tanti dubbi”.
Perché lei oggi a 60 anni scrive, il suo primo libro?
“Alla mia età si riflette molto su come vivere gli anni che restano, forse anche per questo ho scritto un libro, per riflettere. Forse l’ho scritto per esorcizzare quello che può accadere. Insomma la fine è uguale per tutti, è come ci si arriva che è diverso. Non vorrei essere travolto dal male di vivere, dalla negatività. Da ragazzo sono stato scout e il nostro vecchio capo fondatore Robert Baden-Powell, diceva “Lascia questo mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”.
A 60 anni si fanno bilanci. Il suo com’è?
“Ho vissuto a mille. Ho dormito solo il necessario. Ho fatto sempre tante cose, ma ultimamente ho un po rallentato perché ho scoperto che più cose fai, più il tempo vola”.
Con quale lavoro si è guadagnato il ‘pane’?
“Avrei voluto fare il chirurgo, ma da ragazzo mi piaceva anche tanto volare. Perciò presi il brevetto di pilota di aliante a Guidonia e poi feci il concorso come uHo fatto tutta la carriera, prima da militare poi da civile. Ma insieme al mio lavoro ho fatto altro a cominciare dallo sport: ho giocato al calcio e sono stato allenatore, ho fatto tennis, ho sciato, ho praticato la pallavolo, la pallacanestro, e la pesca subacquea. Poi fra i 30 e i 40 anni mi sono appassionato alla lettura, ho letto di filosofia e di storia. Quindi il teatro: ho anche scritto acune commedie”.
Ed il meglio della sua vita?
“I figli, la famiglia. Ho tre figli che sono un capolavoro. Anche mia moglie è molto importante ma i figli sono il mio orgoglio. Due hanno seguito in parte l
La sua tentazione più forte?
“Mollare tutto per viaggiare. Vedere il mondo anche legando il viaggio alla scrittura. Ho potuto viaggiare poco con il mio lavoro, tre figli. E poi ci sono le tentazioni della vita quotidiana, una in particolare: le donne, oggi tutte belle e molto svestite.
Ma alcune donne stanno perdendo la femminilità.
Mettono al primo posto la carriera e non si rendono conto che fare figli è una loro prerogativa importantissima. I figli sono la continuità. Trasmettere il Dna ha del ‘miracoloso’. Ma ci pensate che, magari fra cent’anni, potrebbe nascere qualcuno quasi uguale a me?”
Rimpianti?
“Più che rimpianti un rammarico. Guardandomi indietro mi rendo conto che nella vita ho fatto mille cose ma ho focalizzato poco. Nella mente mi scorrono immagini così come sono avvenute ma confuse con poco senso. Forse se avessi vissuto più lentamente avrei più ricordi”.
Rancori?
“Sono molto istintivo. Quindi reagisco immediatamente a volte in modo anche esagerato. Ma dimentico subito”.
Rimorsi?
“Si uno c’è. E me lo porto dentro da 35 anni, non dimentico. Una volta ho ucciso un cane con una pistola da tiro. Un branco di cani stava sbranando una pecora, li ho spaventati e sono fuggiti tutti meno uno. Mi guardava, l’ho ucciso. Poi ho scoperto che era un cane di razza di un amico”.
La sua qualità più importante?
“Il senso della giustizia. Un sentimento dominante il mio carattere e i miei comportamenti. L’ingiustizia mi offende”.
Perché ha scelto di ambientare il suo romanzo in Palestina?
“Un caso. Due anni fa tornai a confessarmi al Sacro Cuore dopo tanto che non lo facevo. Don Michele, invece delle solite preghiere, mi consigliò di sfogliare il Vangelo. Capitai casualmente su un passo che descriveva le terre di Palestina, mi incuriosii e volli visitarla. Un viaggio tanto interessante che decisi di farne un libro. Ho imparato molto.Prima di questo viaggio difendevo gli ebrei a spada tratta, oggi meno. Ho capito proprio visitando la Palestina, che gli ebrei sono troppo chiusi nel loro gruppo, nella loro religione, nelle loro verità che considerano assolute”.
Un sentimento centrale nella sua vita?
“L’amore per i miei figli e poi l’amicizia. Ho tanti amici. Quando passo per strada tutti mi salutano. Mi chiamano a casa per chiedere un consiglio o sapendo ciò che mi piace per consigliarmi loro qualche cosa. Anche mio padre era così, aperto agli altri all’amicizia”.
Quindi come ha deciso di vivere da oggi ai 70 anni, dalla piena maturità alla vecchiaia?
“Intanto mi preparo a scrivere un secondo libro. E poi mi piacerebbe portare a teatro una delle commedie, che ho scritto. Con la fine del lavoro si aprono altre possibilità, altre vite. Non concepisco chi va in pensione e non trova niente da fare. Spesso sperimentiamo solo una parte della nostra intelligenza o potremmo dire al plurale intelligenze: c’è quella logico matematica, quella linguistica, quella musicale eccetera Ho fatto il controllore di volo per 33 anni. Guadagnavo bene fino a 4500 euro se non fossi andato in pensione a 55 anni avrei potuto guadagnare di più. Ma i soldi non sono tutto. Ora faccio l’operatore della croce rossa, scrivo, sento la musica e suono con un gruppo musicale, ma non disdegno le bocce e la partitella a carte”.
I maestri della sua vita?
“Intanto mio padre Vittorio aperto alla vita sociale e alle novità, laureato in economia e commercio ha insegnato matematica. Appassionato di film western è vissuto fino a 90 anni con la mente sempre lucida. E poi mio suocero, meno colto ma un esempio di limpidezza morale”.
Ma alla fine cosa crede lascerà di importante Massimo Zizza?
“Lascio i figli il mio valore più grande. I figli hanno significato E’ la domanda delle domande alla quale malgrado i tanti studi sull’uomo e sull’universo, non siamo riusciti a rispondere
E per fortuna non siamo riusciti a rispondere, altrimenti avremmo perso la cosa più preziosa: il libero arbitrio”.
(Va.Va.)