GUIDONIA – “Noi”, storia di condivisione tra ragazze all’Imperiale

Venerdì sera 20 maggio spettacolo di danza della compagnia amatoriale guidoniana MAB Studio ASD

di Dajana Mrruku

La convivenza, l’inclusione e la condivisione come medicina per superare insieme le difficoltà personali. C’è questo e molto altro in “Noi, l’arte del convivere”, un racconto danzato che andrà in scena al Teatro Imperiale di Guidonia venerdì 20 maggio alle ore 21 a cura della compagnia amatoriale MAB Studio ASD.

Lo spettacolo è in corsa per il premio “Corvo d’Oro” nell’ambito del TeatroFestivalCittà organizzato dalla direttrice Anna Greggi ed è tratto dall’omonimo romanzo di Mirko Boemi, che ne cura regia, coreografia e narrazione tradotta in Lingua dei Segni Italiana da Leila Lamberti.

E’ la storia di sei ragazze interpretate sul palco da Gaia Putignano nel ruolo di “Ginevra”, Isabella Bernardini in quello di “Rosa”, Elena Giordano “Adele”, Elena Cilli “Margherita”, Sara Postiglione “Lucia” e Silvia Cireddu “Marianna”. Sei ballerine professioniste e attrici (amatoriali ancora per poco), tutte allieve della scuola e associazione sportiva MAB Studio Guidonia che per mette loro di sviluppare e rendere reale il loro sogno, anche se in piccolo.

Abbiamo incontrato Mirko Boemi, il regista e coreografo che ci ha raccontato l’importanza dell’inclusione e della formazione personale nel suo spettacolo.

Che rapporto avete con Guidonia?

Abbiamo sempre debuttato a Guidonia, siamo molto legati alla città e al teatro Imperiale diretto da Anna Greggi. Salire sul palco di casa è sempre bello anche perché tutte le attrici sono di Guidonia e Tivoli.

È la prima volta che partecipate al concorso “TeatroFestivalCittà”?

Vi avevamo già preso parte nel 2015 e ci eravamo divertiti tantissimo, quindi appena è stato pubblicato il bando di partecipazione, non abbiamo esitato un istante in più per iscriverci.

LEGGI ANCHE  TIVOLI - Al via la stagione concertistica 'Musica Est'

Come si è evoluto il teatro e il concorso Corvo d’Oro dal 2015 al 2022?

Tante realtà locali e tanti giovani. La pandemia e i vari lockdown hanno ispirato in molti al teatro, facendolo riscoprire. Sono stato molto contento di questo. L’arte locale si muove.

Come nasce il vostro spettacolo di danza “Noi, l’arte del convivere”?

Nasce dal mio omonimo romanzo. Cinque anni fa ho iniziato a scrivere le storie di sei ragazze. In particolare, la prima ragazza che ho conosciuto stava affrontando il suo percorso riabilitativo da un disturbo alimentare.

Da lì è iniziata l’idea di una casa che raccogliesse sei storie. Ogni ragazza che arriva nella casa sta affrontando un momento difficile nella propria vita, che può essere un rapporto conflittuale con i genitori, o con se stessi. Durante la convivenza, si racconteranno e si aiuteranno l’un l’altra a trovare una soluzione, ad affrontare ogni difficoltà.

Durante la produzione dello spettacolo abbiamo incontrato Alimenta, un’associazione che si occupa dei disturbi del comportamento alimentare e con loro stiamo mettendo le fondamenta per un progetto che partirà l’anno prossimo sulla condivisione e unione coinvolgendo anche le scuole e i ragazzi. Tanti ragazzi, specialmente da dopo la pandemia, ne soffrono e vorremmo aiutarli come possiamo.

È stato importante il supporto delle ragazze nella storia?

Assolutamente sì, il cast in generale si è trovato benissimo. Sono tutte ballerine professioniste o che studiano in accademia. Con loro è stato fatto un percorso di crescita incredibile, a partire da mia moglie, Anna Bonato, con una hair stylist, make up artist.

LEGGI ANCHE  TIVOLI - “Colazione a Jinbōchō”, il libro di Antonio Picarazzi

Sto cercando di permettere loro di vivere un’esperienza unica nella loro ita, con una visione più approfondita del loro personaggio.

Come è nata l’idea di trasportare il romanzo in uno spettacolo teatrale?

Il mio lavoro principale è questo. Io non sono uno scrittore, è una passione. Il mio lavoro è il teatro, vivo di questo.

Qual è il vostro messaggio?

Vogliamo portare in scena questo NOI. È molto semplice ascoltare, osservare e imparare da ciò che ci circonda. Ogni storia ha il suo percorso, ma insieme alle altre ragazze, tutte cresceranno e ci saranno evoluzioni estetiche, morali ed evolutive. Si miglioreranno a vicenda.

Cosa significa tornare in scena dopo due anni di pandemia?

È stato bellissimo perché il Covid ci ha fatto tanto male, ci ha colpiti. Nello spettacolo dico “questo tempo è mio e voglio mettere più esperienze possibili nello zainetto delle avventure”.

Questo tempo ci ha fatto capire quanto siamo umani e quanto è bello poter fare il lavoro che amiamo. Tornare in scena negli Showcase è ancora più bello perché lo spettatore è dentro la scena. Torneremo assolutamente, Covid permettendo.

Come avete scelto di includere Leila Lamberti, interprete della Lingua Italiana dei Segni?

Io sono figlio di un guaritore. Sono cresciuto con la disabilità in casa, a causa di mia zia. Vogliamo che si parli di inclusione. Con Leila speriamo che anche i sordi possano apprezzare la nostra arte.

È nostro dovere abbattere queste barriere per far arrivare l’arte a tutti.

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.