TIVOLI – Erick Priebke, il libro sul processo al boia delle Fosse Ardeatine

L’avvocato Pietro Nicotera presenta il documento al Convitto: dibattito con illustri giuristi

Mercoledì 20 marzo, presso il convitto nazionale “Amedeo di Savoia” di Tivoli, si é svolta la presentazione del libro “Erich Priebke: ricordi di un processo alla storia”.

Un’immagine del convegno tenuto presso il Convitto di Tivoli

L’autore, Pietro Nicotera, ex avvocato della parte civile nel “processo Priebke”, ha deliziato l’aula magna con una splendida presentazione del suo scritto, non definendo mai questo evento come “presentazione”, bensì come un dibattito, capace di far capire meglio tutti i retroscena di una delle pagine più buie della storia di Roma e d’Italia: l’eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944, evento-simbolo della durezza dell’occupazione tedesca di Roma, una rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella, ordinato da Adolf Hitler ed eseguito da Erich Priebke, militare e criminale di guerra tedesco, agente della Gestapo e capitano delle SS durante la seconda guerra mondiale, morto all’età di 100 anni a Roma l’11 ottobre 2013.

Erich Priebke durante il processo. A destra nella foto un giovane avvocato Pietro Nicotera

A contribuire per la realizzazione di questo splendido pomeriggio, gli interventi di varie personalità illustri, scanditi dal moderatore, l’Avvocato Mirko Mariani del Foro di Tivoli.

Hanno partecipato, infatti, il Procuratore Militare di Roma, Antonio Sabino; il Presidente del Tribunale di Tivoli, Nicola di Grazia; il Presidente UOFL (“Unione degli Ordini Forensi del Lazio”), l’Avvocato David Bacecci.

Eliana Lelli, Presidentessa dell’Ordine degli Avvocati di Tivoli

Ad aprire il dibattito, le toccanti parole dell’Avvocata Eliana Lelli, Presidentessa dell’Ordine degli Avvocati di Tivoli.

“Ci siamo disabituati alle sale piene”, sottolinea dopo i ringraziamenti, parlando della grande emozione che prova nel vedere una partecipazione così spiccata.

“Il libro – ha detto l’Avvocata Lelli – ci dà occasione di riflettere sulle emozioni provate nel processo.

Questo, in fin dei conti, é il compito di un avvocato, dare lo spunto per ripensare alla parte emotiva e umana dei vari casi.

Per questo, dico, che nessuna macchina sostituirà mai l’avvocato, che non è solo conoscenza, ma anche cuore”.

L’avvocato Pietro Nicotera durante la discussione al processo Priebke

Dall’attentato di via Rasella, all’arresto in argentina: l’intervento dell’Avvocato Pietro Nicotera

L’autore racconta che nel pomeriggio del 23 marzo 1944, in occasione di un convegno presso un non specificato albergo tra varie personalità dell’entourage nazi-fascista italiano e tedesco, un gruppo partigiano fece esplodere una bomba nascosta in un carretto in via Rasella.

Persero la vita 32 tedeschi, e nella notte, ne morì un 33esimo nel letto di ospedale. La reazione fascista inizia subito dopo lo scoppio dell’ordigno, quando i militari si avventano con ferocia verso un nemico invisibile, aprendo il fuoco alla rinfusa, mirando alle finestre dei palazzi di via Rassella.

Un’immagine dell’occupazione nazista a Roma

“Ancora oggi -spiega Nicotera- sono visibili i fori dei proiettili lasciati sui muri dai fascisti, e sono diventati ormai il monumento del ricordo dei soprusi subiti dagli italiani”.

In serata, dopo la conta dei morti, viene avvisato il Fuhrer, il quale preso dall’ira ordina l’uccisione di 100 italiani per ogni soldato tedesco morto.

Un ordine inaudibile, che dopo varie trattative trova un compromesso, fissato a 10 italiani per ogni perdita nazista. In quella stessa notte, il generale Herbert Kappler, e il suo vice Erick Priebke, passano al vaglio una lista di tutti i detenuti dei carceri limitrofi, selezionando 320 detenuti da giustiziare in nome di Hitler.

Il giovane Capitano delle SS Erick Priebke

Avvertito della 33esima perdita, Kappler decide di chiamare altri 10 detenuti, anche se non aveva ricevuto alcun ordine dal Fuhrer.

Il pomeriggio del 24 marzo, presso le fosse Ardeatine, sono presenti i 330 civili ordinati dai generali, e, per un errore di calcolo, ne furono portati 5 in più.

Non una piega, né da parte di Priebke né da parte di Kappler, i quali spararono i primi colpi e uccisero i primi civili, dando così esempio per i restanti.

A fine giornata, morirono i 320 italiani ordinati da Hitler, i 10 aggiunti da Kappler, e i 5 frutti di errori nei calcoli.

Il ritaglio della prima pagina del quotidiano “Il Messaggero” del 25 marzo 1944

La mattina successiva, la prima pagina de “Il Messaggero” riporta questa decisione dei nazisti di fare giustizia, recitando, in ultima riga, “questo ordine è già stato eseguito”.

La narrazione dell’avvocato Pietro Nicotera compie un salto temporale, passando direttamente al maggio 1994, quando Priebke fu arrestato in Argentina, dopo la sua fuga del 1946.

Il ritrovamento del latitante è dovuto a un giornalista della rete americana ABC, il quale rivolse alcune domande a Priebke, il quale rispose tranquillamente.

Erick Priebke è morto a Roma all’età di cent’anni l’11 ottobre 2013

“Il giornalista – ci racconta l’autore- gli chiese se avesse fatto parte delle SS e se nel ‘44 si trovasse a Roma, e Priebke senza fare una piega gli rispose di sì.

E la stessa risposta la diede anche alla domanda che chiedeva se avesse preso parte all’eccidio delle fosse Ardeatine”.

“Visse per 50 anni, latitante, e più volte, come testimonierà in seguito, riuscì a tornare in Italia”, sottolinea l’Avvocato Nicotera.

L’avvocato Pietro Nicotera oggi

Il racconto dell’estradizione: seconda parte dell’intervento dell’Avvocato Pietro Nicotera

Durante il convegno l’autore del libro racconta che dopo l’arresto del ’94, dunque, subito l’Italia si attivò alla ricerca dell’estradizione per Priebke, incontrando però alcune difficoltà con la legislazione argentina.

Di fatti, quest’ultima riconosceva la possibilità di estradizione solo per dei reati perseguibili sia nei territori in cui questi sono stati compiuti, in questo caso l’Italia, sia nei territori in cui si trovava il colpevole, cioè l’Argentina.

Il problema, ha spiegato Nicotera, risiedeva nel fatto che per gli argentini i reati erano perseguibili per un arco di tempo massimo di 15 anni, dopo i quali questi sarebbero caduti in prescrizione.

Dal momento in cui, dunque, erano passati ben 50 anni dagli eventi del ‘44, in un primo momento sembrava che l’estradizione non sarebbe stata approvata.

LEGGI ANCHE  TIVOLI - Raduno Interregionale dell'Arma, arrivano duemila carabinieri in città

Grazie, però, a una “splendida mossa giuridica”, citando testualmente l’Avvocato Nicotera, si è potuto riportare e processare in Italia il Priebke.

Infatti, l’Argentina ha catalogato l’eccidio delle Fosse Ardeatine come “crimine contro l’umanità”, trovando dunque il cavillo giudiziario per poter effettuare l’estradizione, in quanto, i crimini di questo tipo non possono cadere in prescrizione, e sono perseguibili in qualsiasi paese del mondo.

Dunque, a novembre del 1995, Priebke viene estradato, e le procedure per il processo vengono avviate.

Il Procuratore militare di Roma Antonio Sabino

Una questione di giurisdizione: l’intervento del dottor Antonio Sabino

Durante il convegno il magistrato militare ha raccontato che dopo l’arrivo di Priebke a Roma si dovette discutere se il caso fosse di competenza del tribunale ordinario o di quello militare.

In un primo momento, la Corte di Cassazione decise di affidare il caso Priebke alla giurisdizione militare, in quanto aveva attestato che il crimine di cui si sarebbe discusso era stato compiuto da forze armate in periodo di guerra (Decreto Legislativo Luogotenenziale del 21 marzo 1946, n. 144).

In seconda istanza, però, dopo il ricorso presentato dal pubblico Ministero ordinario, che sottolineò che gli “eventi Priebke”, dovevano essere trattati come eventi estranei alla guerra, in quanto non vi era un collegamento diretto.

In questo caso la Cassazione reputò che il Pubblico Ministero avesse ragione, e affidò dunque alla giustizia ordinaria il caso, non più denominato “crimine di guerra”, bensì “omicidio di massa”.

L’Avvocato David Bacecci di Tivoli, Presidente dell’UOFL

Il profilo dell’imputato: l’intervento dell’Avvocato David Bacecci

“Priebke e quelli come lui, sono mostri carnefici di una mediocrità sconcertante, o sono quel lato oscuro dell’umanità che fa parte di ognuno di noi pronto a far capolino alla prima occasione?”, ha esordito l’Avvocato Bacecci citando le parole della criminologa Roberta Bruzzone per delineare un profilo del boia delle Fosse Ardeatine.

“Priebke ha visto scendere dal carro e ha guardato in volto le persone che mandava a morte – ha proseguito Bacecci – Spuntava i loro nomi uno per uno. Come possiamo pensare che qualcuno che abbia un minimo di dignità umana, di empatia, possa rimanere così saldo, senza cadere in un fallimento delle sue certezze, neanche una volta in 100 anni di vita.

È sempre stato lucido, freddo, distaccato, non ha mai piegato neanche di poco la propria emotività, non mostrando mai un segno di pentimento.

Questo è gravissimo, e stride, nell’ambito processuale, con le attenuanti generiche guadagnare da questi in primo grado”.

“All’epoca – ha detto l’Avvocato Bacecci a margine del convegno –non era prassi in un processo del genere la costituzione della Parte Civile.

L’iter avrebbe previsto “lo Stato Italiano contro Erich Priebke”, ma in questo caso, grazie anche allo splendido lavoro dell’Avvocato Nicotera, il processo vide anche una Parte Civile, i famigliari delle vittime delle Fosse Ardeatine.

Se non ci fosse stata, ora parleremmo di eventi diversi, sicuramente. Non possiamo dirlo con certezza, ma tutto l’impatto emotivo e tutti i testimoni, o almeno quelli concessi, non ci sarebbero stati e reputo che la sentenza avrebbe preso una piega abbastanza diversa”.

Il Presidente del Tribunale di Tivoli Nicola Di Grazia

Il processo del 1996, un caso mediatico: le parole del Presidente Nicola Di Grazia

L’intervento del Presidente del Tribunale di Tivoli Nicola Di Grazia si incentra sul primo processo del 1996 in cui il reato fu dichiarato estinto per intervenuta prescrizione dal Tribunale di Roma.

La sentenza fu pronunciata il primo agosto dello stesso anno.

“La scelta del giorno – spiega di Grazia – non fu casuale, in quanto si era cercata una data in cui la prevedibile reazione della folla potesse essere più limitata possibile.

Il primo agosto era la data giusta, perché la maggior parte degli abitanti era in vacanza e l’afflusso di persone sarebbe stato minore. Quel giorno, dunque, l’aula del tribunale venne chiusa, e l’accesso limitato solo agli interessati e ai familiari più stretti.

Nonostante queste precauzioni, però, un gran numero di persone si presentò davanti al tribunale, riuscendo addirittura a entrare e ad assistere alla sentenza da uno schermo messo appositamente.

Quando il giudice prosciolse Priebke, la folla iniziò a ribellarsi, gridando, spingendo, imprecando. Si riversò poi fuori al tribunale, impedendo l’uscita dell’imputato”.

“Pensammo – prosegue il Presidente Di Grazia – che avremmo dovuto liberare un varco con l’intervento delle forze armate, ma la folla si disperse prima del previsto e non fu necessaria alcuna forzatura”.

Un’altra immagine di repertorio del Procuratore militare di Roma Antonio Sabino

Le differenze tra il caso Priebke e il caso Kappler: il secondo intervento del procuratore Antonio Sabino

“Il processo Kappler si è tenuto nel 1948 – ha spiegato in sintesi il magistrato militare – e si è concluso con la condanna all’ergastolo. Il tribunale, infatti, ha ritenuto Kappler colpevole di omicidio, ma non come tutti ci aspetteremmo.

Ssecondo il giudice, i 320 cittadini uccisi non sarebbero bastati a incriminare il generale, in quanto questi stava “soltanto” obbedendo a degli ordini. Furono, dunque, i 15 prigionieri giustiziati in più a determinare la condanna di Kappler, in quanto fu dimostrato che egli comandò di ucciderli, di sua iniziativa, e senza ricevere pressione alcuna da altri. Per Priebke, invece, questo non valse effettivamente, in quanto egli era il secondo di Kappler, e dunque doveva sottostare alle sue decisioni, seppur le appoggiasse indubbiamente.

Questa è, quindi, la prima differenza tra i due casi, ma una seconda, più sostanziale, si evidenzia nel vero e proprio “processo Priebke” del ‘97.

Infatti, nonostante questi confermasse di aver eseguito degli ordini, cercando di deviare le sue colpe, il tribunale rispose appellandosi al così detto “dovere di disobbedienza”.

In ambito giuridico, infatti, se si esegue un ordine in “buona fede”, seppur le azioni che scaturiscono sono penalmente perseguibili, non si reputa colpevole chi compie i fatti, ma chi da l’ordine di eseguirli.

Se invece, come in questo caso, chi riceve l’ordine è consapevole che si sta parlando di un’azione illegale, ha il diritto e il dovere di disobbedire a tale imposizione, e nel caso in cui non lo facesse, sarebbe considerato tanto colpevole quanto il mandante dell’ordine.

Per questo, dunque, Priebke fu accusato e condannato, perché fu reputato nella completa facoltà di capire che l’azione era illegale, oltre che inumana, e che nonostante tutto comunque non si tirò indietro”.

L’Avvocato Pietro Nicotera insieme all’Avvocato Mirko Mariani

Un “botta e risposta” tra l’Avvocato Mariani e l’Avvocato Nicotera

LEGGI ANCHE  TIVOLI - Restyling del percorso pedonale, via Pisoni chiusa per due giorni

Mariani: “Questo caso ha dato vita ad alcuni ‘falsi storici’, delle ‘fake news’, a esempio la notizia che si sarebbe potuta evitare la strage se i colpevoli di via Rasella si fossero costituiti.

Cosa ci può dire a proposito?”.

Nicotera: “Indubbiamente, questo è un falso della storia. Infatti, in alcun modo si può certificare tale affermazione, né un testimone né un documento può farlo.

Questo non era, inoltre, possibile, perché da quando scoppiò la bomba, dopo le 16 del 23 marzo, fino a sera, il Fuhrer era convinto di dover giustiziare 100 italiani per ogni tedesco.

E nessuno riusciva a smuoverlo dalla sua posizione: era in preda a una crisi, era adirato, nessuno poteva contenerlo.

È quindi abbastanza improbabile che i responsabili sarebbero bastati a saziare la fame di sangue di Hitler”.

Mariani: “Nonostante questo, però, il generale Kesselring, affermò che forse sarebbe stata una buona idea chiedere che si costituissero i responsabili.

Cosa significa questo?”.

Nicotera: “Beh, non molto. Significa che tra le fila dei tedeschi, alcuni pensavano che non era una giusta azione. O almeno questo ci vuole far presumere Kesselring.

Vanamente… dico io: questi fu condannato a morte, poi la condanna fu ritirata e sostituita con una sentenza d’ergastolo. Nonostante il “pentimento”, anche lui aveva le sue colpe”.

Mariani: “Come si svolgeva l’eccidio? Quali erano le procedure?”.

Nicotera: “Inizialmente fu ordinato da Kappler che iniziassero gli alti ufficiali ad uccidere, così che potessero prendere esempio da loro.

Uccisero anche lui stesso e Priebke, e forse anche più di una volta. I cittadini venivano fatti scendere, cinque alla volta, nelle fosse Ardeatine, e qui venivano uccisi, con un colpo alla testa.

Non tutti morirono subito, lo certificano dei corpi dislocati dagli altri, che provarono a incidere sulla roccia con le loro stesse mani.

Ma ancora più disgustoso era che dopo un po’, non vi era più spazio, e i detenuti erano costretti a camminare e a stare in piedi sui corpi esanime degli altri, aspettando di fare la loro stessa fine”.

Mariani: “Una storia emozionante di questo processo riguarda il testimone Franco Felice Napoli. Cosa ci può dire a riguardo?”.

Nicotera: “In quei giorni continuavano ad arrivare fax per il processo. Stavo tessendo la mia lista dei testimoni, quando dalla svizzera arriva un messaggio di un ex galeotto, Franco Felice Napoli, il quale mi chiedeva di essere citato in giudizio come teste contro l’imputato.

Ci incontrammo a Roma, e mi raccontò di aver fatto parte della così detta “Banda del Gobbo del Quarticciolo”, e che, come partigiano, finì in prigione. Quivi, in vita Tasso, lui venne torturato dallo stesso Priebke.

Per questo, dunque, si presentò spontaneamente, e proprio per questo, tra i 120 circa teste presentati, lui fu uno dei pochi ad essere ammesso.

Grazie a lui, furono riconosciute varie aggravanti che aiutarono nella sentenza definitiva contro Priebke”.

L’Avvocato Pietro Nicotera durante il convegno di mercoledì al Convitto di Tivoli

L’INTERVISTA PRIVATA ALL’AVVOCATO PIETRO NICOTERA

Qual è stata l’emozione provata in entrambe le sentenze? La prima del ‘96, in cui Priebke fu prosciolto, e la seconda in cui fu condannato?

“Sono due emozioni totalmente contrastanti.

Nel primo caso provai rabbia, indignazione. Perché, comunque, fu assolto per una sentenza non solo ingiusta, ma anche sbagliata.

Quando, invece, ottenemmo l’ergastolo, la soddisfazione fu enorme. Non tanto perché volessi vedere personalmente Priebke dietro le sbarre, quanto perché avevo finalmente ottenuto giustizia, e finalmente la legge seguì il giusto corso concludendosi con una giusta condanna”.

Cosa ha significato questo processo per la sua carriera da Avvocato?

“Il caso ha svoltato la mia vita, e non solo quella giuridica.

Se non ci fosse stato quel processo, dopo 30 anni, non saremmo di sicuro in questo convegno.

Anzi, sono felice che si possa discutere ancora di questa vicenda perché possiamo creare nuove memorie storiche in tutti i ragazzi che si approcciano al mondo”.

Nel suo libro racconta dell’eccidio di Fonte Paolone, nel Comune di Marcellina: cosa ha significato per lei che ne è stato il sindaco?

“La carica da sindaco ha una grande importanza, specialmente se la città in cui rivesti questo ruolo ha un significato nella tua stessa vita.

E così è per me Marcellina.

Infatti, Priebke nel luglio del ‘44, quando si svolse l’eccidio a Fonte Paolone, era diventato generale al posto di Kappler, dunque il comando della strage passò per le sue mani.

Questo fu chiaro durante il processo.

In seguito ebbi la possibilità di accedere a carte riservate e custodite all’interno del comune di Marcellina, così potei presentare ancora altre denunce.

Insomma, per me ha significato molto e porto ancora la fascia tricolore appesa al cuore”.

Lei ha definito il suo libro come ‘documento’, giuridico e storico, per questo lo consiglierebbe solo a chi appartiene a uno di questi due settori o anche a chi vuole solamente approfondire l’argomento?

“Io credo che sia un testo per tutti.

Ritengo che chiunque voglia approcciare a uno di questi argomenti possa prendere in considerazione questo libro, scritto proprio per cercare di fare luce su vicende importanti della storia d’Italia quali l’attentato di via Rasella e l’eccidio delle Fosse Ardetine”.

“Abbiamo sistemi più dignitosi per farci effettivamente giustizia, il più limpido è l’appello verso la sentenza” (Avvocato Pietro Nicotera)

Matteo Somma

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.